Eccomi, buon….giorno, pomeriggio o sera dipende quando leggerai questo articolo. Visto che è il primo, permettimi di rubare due righe per presentarmi. Sono Lorenzo, ho 28 anni, sono di Mede e dopo anni di esperienze lavorative nel settore della ristorazione ho deciso di lasciare tutto e partire per un anno di servizio civile in Uganda con Africa Mission – Cooperazione e Sviluppo, una ong di Piacenza.
Ti ringrazio per darmi la possibilità di farti leggere il mio pensiero e di avere la pazienza se magari in alcuni punti sarò noioso o non sarai d’accordo con il mio pensiero; ma questo sito nasce anche per questo, per avere un confronto con te.
Iniziamo e buona lettura! Quando mi è stato proposto di entrare a far parte di questo progetto, mi sono domandato come avrei potuto contribuire. Mi sono risposto: “perché non sfruttare la mia esperienza dell’anno scorso per trattare alcune tematiche che magari non conosciamo, non approfondiamo e magari farci qualche domanda scomoda? Allora eccomi, ci provo e ci proviamo insieme!
Vorrei iniziare il nostro percorso partendo proprio dalla parola “missione”. Quando sentiamo la parola missione (missionarietà, vita missionaria,ecc.) pensiamo a qualcosa più grande di noi e lontana da noi. Si può vivere una missione soltanto quando si parte per un luogo lontano geograficamente da dove viviamo e in Paesi così detti “sottosviluppati” o più “poveri” rispetto a noi. Già in queste tre righe sarebbe corretto soffermarci meglio sul significato di sottosviluppati e poveri ma andiamo oltre, avremo il tempo di approfondire l’argomento. Torniamo a noi e alla missione. Siamo sicuri che basta partire, arrivare in un posto, vivere in certe condizioni per ritenersi missionari? Oppure è un lato che ognuno di noi è chiamato a vivere ogni giorno?
Scusa se parlerò anche della mia esperienza di un anno in Uganda ma è grazie a quella che sono qui adesso a scrivere, trattare di certi argomenti e chiarire certi concetti. Prima di partire, ho scritto un articolo per il mensile del mio paese e volevo riprendere con voi un breve pezzo:
“Perché la missione? Partendo dal presupposto che ognuno di noi ha una Missione , cioè di testimoniare un Bene più grande e di vivere questo Bene con modalità diverse senza aver bisogno di prendere e partire per un viaggio, credo che le nostre scelte importanti, quelle che ti cambiano non le capiremo mai nel momento preciso in cui le prendiamo ma soltanto una volta che abbiamo intrapreso quella strada,dopo aver affrontato i prima ostacoli, capiremo la vera motivazione che ci ha spinti a prendere una precisa direzione. Quindi per questa domanda mi sa che dovremo risentirci tra un po’ di tempo…”
Sono tornato ormai da un anno e, fidatevi, che la scelta più difficile è essere missionari nelle nostre zone, nelle nostre case, nei nostri rapporti con gli altri. Ho capito solo qui quanto abbiamo paura! Paura dell’incontro e non fraintendermi, non mi riferisco prettamente al razzismo. L’incontro tra me e l’altro, quello diverso da me. Paura di conoscere qualcosa di nuovo, ad avere contatti con le persone, di incontrare per strada quel tizio perché non voglio che mi veda, a salutarlo perché mi sta un po’ antipatico, quando incrocio nelle scale il mio vicino di casa con cui non vado d’accordo. Sembra che ognuno di noi abbia uno scudo attorno a se stesso e che nessuno o alcuni (che decido io) possono oltrepassare.
Quando invece si capirà che al di là di questa linea immaginaria che abbiamo messo c’è una possibilità di crescita per entrambe le parti, saremo sorpresi. Qui si parla di relazioni, quelle che stiamo perdendo e che sono l’essenza della vita! Quante situazioni scomode nascono per troppi silenzi o per ansia di avere uno scontro o semplicemente un rapporto.
Ecco credo in questo, cioè che la vera missione non è una persona ricca di conoscenze e di sapienza che soccorre un’altra in difficoltà. Se ci si limita solo in questo, ci ritroviamo nel campo dell’egoismo valorizzando solo noi stessi e sentendoci con la coscienza a posto.
Quando invece questo aiuto è anche il mezzo per intrecciare legami, quando c’è un’apertura da tutte e due le parte e nessuna si sente più superiore all’altra, se si arriva al cuore di una persona , allora c’è in corso una missione autentica e fruttuosa.
Per concludere potrei riassumere questo concetto con il significato della filosofia “ubuntu”: “Io sono perché noi siamo”.
Al prossimo appuntamento!
Articolo di Lorenzo D'Agosta