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La narrazione ai tempi del coronavirus

In questi giorni, aprire i giornali, ascoltare i telegiornali e leggere le home page dei principali siti di informazione significa imbattersi sempre e solo con una notizia: la diffusione sempre più capillare di un agente patogeno, di nome CoronaVirus (n-Covid-19), fino a poche settimane fa sconosciuto  ai più e ora sulla bocca di tutti.

Per non parlare di come questo argomento venga affrontato sui vari social media: da Facebook, a Twitter a Instagram e a Whatsapp… ognuno è libero di dire e raccontare al mondo la propria versione dei fatti, senza neppure approfondire troppo la fonte citata, se non addirittura alimentare notizie palesemente false (le famigerate fake news), disorientando ancor più un’opinione pubblica già di per sé molto fragile ed emotivamente provata da una situazione del tutto inedita per la maggior parte delle persone.

Purtroppo però anche l’informazione più tradizionale, del mainstream più convenzionale, non aiuta in questo frangente e anzi, come evidenziato da alcuni esperti, spesso rischia di essere confusa e incomprensibile[1] e portatrice di ansie e paure, che rischiano di causare danni forse maggiori di quanto non produca già questo virus.

L’aspetto forse più significativo ed intrigante riguarda però la modalità di narrazione dell’evento-CoronaVirus, come cioè un’emergenza sanitaria globale e italiana possa diventare argomento di una “storia”, che sembra avere tutte le caratteristiche di una spy-story, degna del più geniale James Bond, in lotta contro un nemico invisibile e pronto a sacrificare sé stesso per salvare il mondo.

E allora: perché nell’ambito di un problema sanitario da non sottovalutare si parla di “storia”? In che senso la trattazione mediale del tema “CoronaVirus” può essere inteso come narrazione? E soprattutto, cosa significa trattare questo tema secondo le modalità tipiche della narrazione più comunemente intesa?

Per cercare di far luce, almeno in parte, sulla questione, bisogna ricorrere alla spiegazione di alcuni termini considerati “tecnici” e “specialistici” dell’ambito narratologico, ma soprattutto del cosiddetto storytelling

Nato nell’ambito del marketing strategico ed industriale, lo storytelling costituisce un particolare aspetto della comunicazione di impresa, mediante il quale si studiano strategie narrative per immettere sul mercato e vendere diversi generi di prodotti, materiali e immateriali. È una disciplina che ha strettamente a che fare con la comunicazione di “massa”, poiché si tratta della scienza che cerca di promuovere le cose, traducendole in parole e gesti, ma soprattutto immagini e video, al fine generare nei destinatari della comunicazione particolari stimoli e visioni del mondo[2]. Dunque, un’azione comunicativa tutt’altro che innocente, ma che nella moderna società della comunicazione è bene conoscere e studiare, se si vuole sottoporre al “tribunale della ragione”, di kantiana memoria, tutta la mole di messaggi che vengono inviati dai diversi media e non essere travolti da un’enfasi emotiva troppo accentuata o, al contrario, considerare tutti i fatti che ci circondano con estrema superficialità.

Ma procediamo con ordine. Se con “narrazione” possiamo intendere la comunicazione di un’esperienza, che diventa comunicazione di senso[3], cioè elaborazione personale dell’esperienza letta alla luce del proprio vissuto personale, all’interno di una narrazione possiamo trovare vari personaggi alquanto significativi nell’economia della vicenda: di solito, troviamo un protagonista, che funge spesso anche da eroe della storia, poi c’è un aiutante del protagonista, una prova da superare, degli ostacoli e/o aiutanti che impediscono al protagonista di raggiungere l’obiettivo finale e poi una sorta di lunga “discesa” che conduce alla conclusione della storia, con il consueto happy ending[4].

Nel contesto attuale, gli elementi della narrazione sembrano esserci tutti: dal protagonista della vicenda, ovvero l’Italia e più in generale il mondo intero; agli eroi, rappresentati da tutti gli staff medico-infermieristici che si stanno prodigando al fine di raggiungere l’obiettivo di sconfiggere il “cattivo”, cioè il virus. Così come non sembra mancare la ricerca dell’“oggetto del desiderio”, quello a cui tutti aspirano e che per ora nessuno è ancora riuscito ad ottenere: l’antidoto, la cura al male, che in questo frangente si concretizza nella scoperta del vaccino contro questa infezione.

Così facendo, viene delineata una sorta di storyboard, mediante la quale dar vita a una vera e propria “epica” del contagio da CoronaVirus, che purtroppo, come sottolinea Giacomo Buoncompagni – Presidente AIART di Macerata, rischia di diventare una serie Tv (ma non solo!), alla prima stagione, dal numero illimitato di puntate, impossibili da perdere[5]; una sorta di Truman Show o Grande Fratello di orwelliana memoria, dei quali tutti siamo inconsapevoli protagonisti.

E cosa emerge da questa lunga striscia quotidiana di notizie che si susseguono incessanti da un canale all’altro, da un medium all’altro? Quale condizione esistenziale di sottofondo si cela sotto questo “sovraccarico informativo”[6] e comunicativo, di cui non sono immuni nemmeno le principali istituzioni italiane ed europee?

Forse sta emergendo in modo evidente tutta l’insostenibile leggerezza dell’essere, come avrebbe detto lo scrittore Milan Kundera; forse sta emergendo con forza ciò che ben sottolinea lo scrittore Alessandro D’Avenia: la fragilità e la caducità di un uomo che, sebbene appartenga alla Terra, come ricorda il mercoledì delle ceneri di inizio quaresima[7], anela comunque Cielo.

In un momento in cui i contatti sociali vengono il più possibile ridotti, al fine di contenere il propagarsi del contagio – come sottolineato dalle direttive ministeriali – più che mai sta emergendo la necessità fisiologica e innata della persona alla relazione, che non può e non deve ridursi all’attaccamento spasmodico ai mezzi di comunicazione sociale, ma significa primariamente prossimità e vicinanza e significa partecipazione libera alla vita altrui in modo fraterno e “con-passione”, cioè con amore, sebbene in questi tempi siano necessarie le dovute precauzioni.

Allora, in un periodo di prova, ma anche di maggiore possibilità di riflessione e meditazione, suonano bene le parole di Papa Francesco che, in occasione della 54esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, sottolinea l’importanza del racconto e della narrazione, ma anche delle storie e dei “testi” che portano a costruire tessuti umani, cioè legami profondi, capaci di superare le difficoltà e il male[8] del mondo.

Quindi il Papa evidenzia la necessità di non farsi travolgere da racconti falsi e malvagi, che dividono e distruggono, benché sembrino “bucare lo schermo” e fare audience, ma di riscoprire «storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni dell’oggi»[9].

E la Storia delle storie, la Buona Novella che non lascia mai l’uomo senza speranza, è quella evangelica: una narrazione che dà voce al Verbo Incarnato – Gesù Cristo Via, Verità e Vita – unico viatico verso Dio, Creatore e Padre. 

Solo facendo memoria della Storia d’Amore dentro cui l’uomo si trova, egli potrà ritrovare senso e significato della propria vita e della propria destinazione e non sentire più quel vuoto esistenziale, facilmente riempibile di “cose vane”, ma difficilmente “ri-creativo” della vita in senso pieno.


[1] Da: https://www.aiart.org/paura-e-verita-come-shock/, visitato il 06/03/2020.

[2] Fontana A., Manuale di storytelling, Etas, Milano, 2009.

[3] Ibid.

[4] Fontana A., Storyselling – Strategie del racconto per vendere sé stessi, i propri prodotti, la propria azienda, Etas, Milano, 2010.

[5] Da: https://www.aiart.org/paura-e-verita-come-shock/, visitato il 06/03/2020.

[6] Ibid.

[7] Da: https://www.corriere.it/alessandro-d-avenia-ultimo-banco/20_marzo_02/26-amuchina-b524bca6-5bc6-11ea-ae74-e93752023e91.shtml, visitato il 06/03/2020.

[8] Francesco, Messaggio del Santo Padre per la 54ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria (Es 10,2). La vita si fa storia, del 24 gennaio 2020.

[9] Ibid.

Articolo di Silvia Vallè