Sembra che in questi giorni di quarantena, forzatamente chiusi in casa per cercare di ridurre al minimo il diffondersi di un virus pericoloso (il Coronavirus) – temibile e per il quale non esiste ancora un vaccino, ma solo blandi tentativi di arginare il problema – sia divenuta una costante di molte persone la sistemazione di casa: scaffali, librerie, cassettiere pieni di quel “di tutto un po’” che in occasione delle pulizie radicali saltano fuori, come fossero cimeli di un passato che faticano ad emergere e a ritrovare posto nella vita di casa e della famiglia.
Si, perchè proprio in occasione di queste “ferie casalinghe” forzate, per ingannare e far passare il tempo sembra emergere con più vigore quella voglia di fare spazio tra le “cose di casa”. Anche gli affetti più cari, quelli familiari, che magari per impegni lavorativi non si riescono sempre a far combaciare perfettamente – tutti vittime di una vita frenetica che, in un lampo, si è come cristallizzata – hanno più spazio e tempo di convivere, di supportarsi, magari anche di sopportarsi un po’ di più.
E allora tra le mura di casa vengono a trovarsi tra le mani i ricordi di una vita passata, quando si era più giovani, più spensierati, alcuni con più capelli in testa, ma anche pieni di vitalità, di gioia e di bellezza interiore, forse un po’ fanciullesca, ma certamente sincera e fiduciosa nel futuro.
Nei cassetti di una casa si nascondono fotografie di quando si era piccoli, tra le braccia dei propri genitori, di amici di famiglia e parenti, che nelle occasioni più importanti si riuniscono a fare festa per ognuno dei propri cari. Sono ricordi di un passato non così lontano, ma che sembrano non voler saltare fuori, se non in occasione delle “grandi pulizie” che una volta ogni tanto si fanno e che sembrano essere così “alla moda” in questi giorni difficili.
Ma sono ricordi che riallacciano i legami familiari, non sempre così forti e durevoli nel tempo: fanno sorridere e piangere, ridere e riflettere allo stesso tempo e così facendo danno la possibilità di svolgere quella riflessione su di sé, sugli altri e sul mondo che ci circonda, così tanto invocata, ma mai davvero praticata da nessuno di noi prima d’ora.
È proprio vero che la casa nasconde, ma non ruba: e così tra una visura catastale e una vecchia “dichiarazione dei redditi” scivolano tra le mani anche documenti fotografici e/o scritti di vecchi parenti, molti dei quali non ci sono più o di cui si sono persi completamente i contatti: penso ad esempio alle antiche “cartoline postali” che venivano inviate come forme di contatto e di comunicazione dai luoghi di guerra o per ricordare momenti belli, come i matrimoni.
Tra le scartoffie si ritrovano anche testamenti, scritture private e atti notarili, che raccontano i rapporti familiari del passato, ma anche del presente, che non sempre destano bei ricordi: sono però testimoni silenti, ma presenti, di quanto difficile sia da sempre il rapporto umano, forse ancor più tra i familiari, coloro che dovrebbero essere i legami più stretti e indissolubili.
E così il tempo si trasforma in quella medicina, quel balsamo dell’animo che ridona la giusta colorazione alle cose, anche quelle che sembravano essere più indigeste, più difficili da superare, come i torti subiti e i diversi motivi di litigio (spesso per colpa di interessi) tra i parenti.
Come dice infatti il libro del Qoelet, “c’è un tempo per tutto… c’è un tempo per strappare e un tempo per cucire” e quindi c’è un tempo anche per perdonare e/o perdonarsi ciò che del passato ancora fatica a scivolare via, soprattutto se queste difficoltà riguardano i rapporti con le persone più vicine a noi.
Dai cassetti emergono come funghi anche esami del sangue e test clinici che mai si pensava di aver ancora e che cercare di sistemare sembra essere un’impresa al limite dell’impossibile. Certamente, non si tratta sempre di ricordi piacevoli, perchè delineano difficoltà fisiche e morali difficili da superare e che in molti casi si vorrebbero solo dimenticare. Ma anch’essi dicono chi siamo realmente, dicono quali sfide abbiamo dovuto affrontare singolarmente o come famiglia e soprattutto come abbiamo superato gli ostacoli che la vita propone.
Ma in una casa non è possibile tenere tutto, pena il dover uscire presto o tardi degli abitanti stessi, per via della troppa roba accumulata. Certamente, è un gettare via in modo oculato, non frettoloso, non certo a cuor leggero, ma con la consapevolezza che si vogliono tener vive solo le cose importanti, quelle che vale la pena di aver sempre con sé, perchè identificatrici dell’identità personale di ogni membro della famiglia.
È un fare ordine nelle cose, ma sopratutto penso che sia un fare ordine in sé stessi, per definire meglio quelle priorità della vita che la routine quotidiana fa dimenticare. In particolare, è mettere in evidenza quei valori relazionali unici che in una famiglia devono esistere, ma che troppo spesso accantoniamo.
Così facendo forse si riuscirà a ritornare a quell’essenzialità dell’amore coniugale e familiare, che scaturisce dall’amore immenso di Dio per ognuno di noi e che trova piena corrispondenza umana nella Sacra Famiglia di Nazareth.
Tutto questo è per caso utopia? Non penso. È solo la chimica dei ferormoni? Non lo so. O forse si cela il mistero dell’amore divino, che apre all’infinito? Certamente si, ma che si svela solo provando ognuno a fare la propria parte, nella quotidianità e ritrovando quell’essenzialità che deriva dallo spogliarsi di ogni sovrastruttura materiale di cose superflue, per ritornare così davvero a circondarsi del bene, del bello e del buono di tutti gli uomini, primi tra tutti coloro con i quali siamo chiamati a vivere in famiglia.
Allora anche un periodo di austerità e di sacrifici a cui tutti siamo chiamati a dire il nostro “si”, è possibile trovare una luce di speranza che apra la breccia in “cuori di pietra”, che non sono certo le nostre case, ma i nostri cuori e così, alla fine di questa quarantena, avremo la consapevolezza di aver dato il nostro contributo non solo alla società in cui siamo chiamati a vivere, ma anche al destino e ai rapporti della nostra famiglia.
Articolo di Silvia Vallè